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Donatella Bizzotto

Un tema imperfetto


Eravamo in quarta, già nella scuola nuova.

La signorina Domenica Ostuni era da poco rientrata dal primo e unico periodo di assenza della sua vita lavorativa a causa di un intervento chirurgico. L’aveva sostituita una giovane maestra capace e simpatica; io, in quel periodo di relativa indipendenza dalla ferrea disciplina, mi ero cimentata in esercizi di autonomia per modificare la mia scrittura: dai tratti lenti e comuni a quella degli altri compagni diventò una volta stretta e lunga, un’altra con svolazzi artistici, un’altra ancora inclinata… Cambiavo ogni giorno.

Quando la Signorina ritornò e vide i miei quaderni, inorridì. Mi chiamò alla cattedra e con tono quasi affettuoso mi chiese preoccupata cosa mi fosse successo; non l’avevo mai sentita così partecipativa. “Volevo fare degli esperimenti per scrivere come i monaci amanuensi che ho trovato nell’enciclopedia Conoscere”, le dissi. Ma poi aggiunsi sottovoce: “Sono contenta che sia tornata.” Era la verità, e ritornai quasi completamente alla mia solita scrittura.

Era una bella e calda giornata di maggio. Entrando nel grande atrio della scuola dove ci radunavamo prima dell'inizio delle lezioni, si sentiva qualcosa di solenne nell’aria. Poi si sparse la voce dell'arrivo imminente del temibile direttore didattico e a conferma di questo evento straordinario notammo un fermento inusuale fra le insegnanti che confabulavano tra loro. Poco dopo suonò la campanella ed entrammo tutti in classe. La nostra maestra ci mise subito al lavoro con un tema dal titolo, precisò, particolarmente adatto al periodo: Maggio. Che barba, pensai; era un titolo per pensierini di seconda elementare.


“Mi raccomando, bambini”, ci spiegò infervorata come non l’avevo mai vista. “Cercate di usare la fantasia e di scrivere in modo espressivo. Il Signor Direttore è molto severo e si aspetta dei componimenti che non siano i soliti pensierini tipo maggio-è-il-mese-delle-rose, maggio-è-il-mese-della-Madonna eccetera eccetera.”

Ci mettemmo al lavoro ma quel titolo mi aveva fatto passare le voglia di scrivere. Era una bella giornata, questo l'ho già detto, e le finestre erano socchiuse. Entrò un moscone e io mi persi dietro il suo volo. Poi pensai che presto Bepi Simon avrebbe aperto la gelateria e già sentivo il profumo delle cialde. Poi considerai il numero dei fioretti alla Madonna che avevo offerto sino a quel giorno, ancora troppo pochi per partecipare gratis alla gita parrocchiale del mese di maggio…

Il rumore di una penna caduta mi riportò in classe; ricominciai a scrivere, riempii due pagine e consegnammo i quaderni.

Poco dopo sentimmo bussare e subito, senza aspettare che la maestra dicesse ‘Avanti’, il direttore entrò a gamba tesa ignorando la signorina Spadarotto che lo accompagnava discreta. Ci alzammo, lo salutammo in coro con un “BUONGIORNO, SIGNOR DIRETTORE!” e lui, abbandonati i modi spicci che aveva riservato alle due insegnanti, con tono ispirato cominciò il suo discorso più o meno così: “Cari ragazzi, l'anno prossimo sarete in quinta e dovrete sostenere gli esami. Ormai dovete essere in grado di usare la fantasia e scrivere in modo espressivo. Mi aspetto che i vostri componimenti non siano una serie dei soliti pensierini tipo maggio-è-il-mese-delle-rose, maggio-è-il-mese-della-Madonna eccetera eccetera. Ora fatemi leggere un vostro tema.”

Bene, ormai sapete che ero fantasiosa. La Signorina gli porse senza indugio il mio quaderno, certa che avessi scritto proprio come si aspettava il direttore. Forse ero il suo asso nella manica. Invece io, quel giorno, avevo deciso a mio modo di protestare contro quel titolo di tema che consideravo monotono e scrissi come mai avevo scritto, vale a dire una lunga serie dei soliti pensierini tipo maggio-è-il-mese-delle-rose, maggio-è-il-mese-della-Madonna eccetera eccetera.

Il direttore lesse. Strabuzzò gli occhi e rilesse diventando tutto rosso. Lanciò prima un'occhiataccia alla mia maestra; poi, puntandomi minaccioso l’indice, mi avvisò a tutto volume che all'esame di quinta un simile compito mi sarebbe costato la bocciatura. Sbatté il quaderno sul banco più vicino e se ne uscì dalla classe senza tanti saluti.

La nostra maestra non sembrava capacitarsi, era costernata ma non mi disse nulla. Per un attimo temetti che i suoi riccioli ordinati perdessero l’effetto della permanente facendole diventare i capelli dritti. Poi vidi alcuni compagni che ridevano sotto i baffi e li imitai.

Che giornata. Confesso che per un attimo me l’ero vista brutta. Però per una volta il rimprovero me l’ero preso io e non avevo nemmeno ribattuto come facevo a casa. Chi lo sa, forse avrei potuto aggiungere un altro fioretto al santino della Madonna.


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